Vi lascio alla lettura di due articoli presi dal corriere della sera di oggi
Va in parrocchia, il marito la uccide
Reggio Emilia, marocchina presa a martellate.
Si stava convertendo e separando
I volontari cattolici: «Rachida picchiata. Aveva iniziato un percorso verso una fede nuova»
Va in parrocchia, il marito la uccide
Reggio Emilia, marocchina presa a martellate.
Si stava convertendo e separando
Si stava convertendo e separando
Rachida Radi, la donna uccisa dal marito a Brescello
BRESCELLO (Reggio Emilia) - Nella mano sinistra stringeva l'atto di separazione chiesto dalla moglie Rachida alle autorità marocchine: il grande affronto. Nella destra, il martello: la punizione. Uno, due, tre, dieci colpi per spezzare quella donna che gli stava sfuggendo, che «voleva cambiare vita», che aveva smesso di portare il velo, si sforzava di parlare italiano, frequentava altre mamme e aveva trovato negli ambienti della parrocchia, tra i volontari della Caritas e il gruppo ricreativo per i bambini, aiuto, solidarietà e parole nuove. Intollerabile per Mohamed El Ayani, 39 anni, figlio del profondo Marocco, musulmano osservante, la famiglia vissuta come una proprietà. La sola idea che qualche amico potesse irriderlo per le frequentazioni cattoliche della sua donna ha spento anche l'ultima luce nella mente dell'uomo, che ha colpito Rachida Radi, 35 anni, fino a sfondarle il cranio. «Voleva lasciarmi...» ha poi biascicato in uno sdrucciolevole italiano ai carabinieri, ai quali si è presentato un'ora dopo, insanguinato e con in braccio la figlia piccola di 4 anni, che probabilmente ha assistito al delitto, è il sospetto degli inquirenti, anche se l'omicida confusamente nega.Rachida è rimasta nel soggiorno di via Manzoni, in un lago di sangue: e solo per caso la figlia grande di 11 anni, che rientrava da scuola, non si è imbattuta in quel cadavere deturpato.
Non è molto importante a questo punto sapere se El Ayani, a 7 giorni da quel delitto che ha fatto piangere Sorbolo Levante, frazione di Brescello, terra di Po, pioppeti, Peppone e don Camillo, sia pentito o abbia la minima coscienza dell'orrore commesso.
È Rachida, solo lei, che ci interessa. Il suo martirio. Il suo sogno spezzato. Ennesimo volto di quella guerra troppo spesso dimenticata, e dove le vittime sono sempre e solo da una parte, che ha fatto ieri da sfondo alla Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, a firma delle Nazioni Unite. Donne immigrate che pagano con la vita il tentativo di sottrarsi al giogo medievale di mariti e parenti. El Ayani, come decine di altri padri padroni, è un uomo che non aveva capito niente. Non aveva capito che Rachida, anche se tutte le notti si coricava al suo fianco, lo aveva lasciato da un pezzo. Non aveva capito che lui e la moglie erano due lontanissimi pianeti sotto lo stesso tetto. Lui, un lavoro in un'impresa di pulizie a Parma, pochi amici e nessuna frequentazione a Sorbolo Levante. Era arrivato in Italia nel '95. Schivo, silenzioso, incapace di fronteggiare la voglia di autonomia della moglie e della figlia più grande. Lei, l'esatto contrario. «Aveva una grande voglia di integrarsi» racconta il sindaco, Giuseppe Vezzani. Per arrotondare il bilancio domestico, faceva lavoretti per la parrocchia, ma, più che i pacchi dono che ogni tanto riceveva, a Rachida interessava conoscere persone nuove. «La sua vita con il marito era diventata un inferno, spesso lui alzava le mani: lei non l'ha mai denunciato, ma l'estate scorsa, approfittando di un viaggio in Marocco, aveva avviato le pratiche per la separazione» raccontano alcuni volontari di un'associazione cattolica. Parlare di conversione, non è tecnicamente esatto. Quello di Rachida, come spiega chi la frequentava, «si configurava come un graduale percorso verso un mondo e una fede completamente nuovi».
Il giorno della mattanza, il parroco di Brescello, don Giovanni, è stato tra i primi a precipitarsi nella casa di via Manzoni. Impietrito davanti a quel sangue, si è messo a pregare. E la sera, in chiesa, ha ricordato così Rachida: «Il nostro pensiero va a una giovane donna, che non è più davanti ai nostri occhi, ma davanti agli occhi di Dio».
Manda fuori la praticante e violenta
la cliente in studio: arrestato avvocato
Il legale, dopo aver negato, aveva presentato contro la ragazza una denuncia per diffamazione. Ma la collega ha visto tutto
Porta Genova - Indagini del commissariato
Manda fuori la praticante e violenta
la cliente in studio: arrestato avvocato
la cliente in studio: arrestato avvocato
Il legale, dopo aver negato, aveva presentato contro la ragazza una denuncia per diffamazione. Ma la collega ha visto tutto
MILANO - Violenza sessuale nello studio legale su una cliente in una causa civile: con questa accusa un avvocato milanese è stato arrestato tre giorni fa (notizia che la Procura e la polizia hanno cercato di non fare trapelare per un riguardo solitamente non usato nei confronti di altre categorie professionali) dal gip Chiara Valori su richiesta dei pm Piero Forno e Gianluca Prisco al termine di indagini svolte dal Commissariato Porta Genova.
La versione della ragazza è stata ritenuta credibile soprattutto per quanto le intercettazioni hanno fatto intuire. Appena dopo aver subito l'aggressione del legale, la ragazza si era confidata con alcuni familiari che subito avevano telefonato all'avvocato per chiedere conto dell'accaduto.
Immediatamente l'avvocato, dopo aver negato tutto, aveva presentato contro la ragazza una denuncia per diffamazione, scelta in sé interpretabile sia come con il gesto di chi vuole tutelarsi da una accusa ingiusta sia come l'espediente per precostituirsi una difesa preventiva. A far propendere per la seconda opzione sono stati i riferimenti all'accaduto intercettati in telefonate sia dell'avvocato sia soprattutto della sua praticante legale con il fidanzato.
Interrogata come teste, costei ha raccontato che l'avvocato quel giorno le aveva chiesto di non tornare in studio prima di una certa ora, ha spiegato che invece era rientrata prima, e ha dichiarato di essere perciò stata testimone oculare in effetti di una scena sessuale in corso in quel momento, pur senza poter dire se fosse consensuale. Poiché l'avvocato nega di aver avuto qualunque contatto fisico con la cliente, la versione della ragazza (che denunciava la violenza, per fortuna non del tutto consumata) è apparsa a posteriori rafforzata nella propria credibilità dalla deposizione della praticante e dai riferimenti nelle intercettazioni. L'uomo ha però insistito a negare tutto anche nell'interrogatorio, e le avvocate Lazzati e Scovazzi hanno chiesto la scarcerazione o l'attenuazione della misura, sulle quali il gip deciderà nelle prossime ore.